sabato, novembre 26, 2011

umanità sconsolante

Oggi Dublino è una città cosi triste o forse è solo lo specchio dei miei stati d’animo, però so che un cielo azzurro e il sole sulla pelle mi ridarebbero il sorriso e ritornerei  blu o forse rosa come a tratti mi sono sentita in questo ultimo mese.  Ho voglia di tornare a casa ma una parte di me ha voglia di rimanere in questa specie di limbo che mi ha avvolto in questi trenta giorni….  Quando si sta soli con se stessi  ci si ricorda delle cose più scontate, ci si ricorda ad esempio quanto è difficile trovare persone a cui ci si sente affini e con cui davvero si ha voglia di parlare e di incontrarsi. Mi chiedo a volte se essere più banali aiuterebbe a vivere meglio, se ascoltare musica pop renderebbe più lineari, se conoscere la gente e pensare di scoparsela darebbe più senso alla propria vita nel momento in cui la si vive, senza per forza tendere ad un altrove, senza per forza tendere ad un senso alto, diverso da quello che ti offre la fugacità delle cose nel  loro senso più negativo.

Perché la gente mi annoia? Perché rimango scandalizzata di fronte all’ignoranza delle persone e non concedo possibilità di appello? Perché mi do solo a chi mi entusiasma e mi arricchisce? In fondo a me piace cosi e so che non cambierei tutto questo, ma in questo mese, conoscendo tanta gente nuova mi sono ritrovata di fronte alle stesse domande di sempre e di fronte a certe domande anche le risposte si ripresentano più chiare, più forti e sfrontate ed io amo quelle risposte anche se ultimamente a volte mi feriscono perché sono piene di parole soffocate e legate a cui è stata negata la danza, ma le mie gambe sono il vero termometro del mio corpo e le sento ogni notte tremare ed agitarsi sotto la coltre di apparente calma che un giorno o l’altro verrà risucchiata di nuovo da questa energia inespressa ma piena di luce e di forza.

lunedì, novembre 21, 2011

last week in Dublin

Quando sono arrivata a Dublino avevo intenzione di restare sola con me stessa ed in massima parte sono riuscita nel mio intento.  Ma qualcuno ultimamente mi ha definito una pink moon e non posso che ritrovarmi in quella definizione perché  esprime bene la mia dualità, la mia parte scura, lunare appunto, e la mia parte rosa, quella solare, anche se il rosa è un colore che mi piace solo in alcuni momenti, ma mi piace da morire se penso al colore della pelle, la mia ma anche quella di qualcun altro. E soprattutto il rosa esprime la parte di me cosi delicata ed emozionale, quella che esplode all’improvviso quando il numero delle stelle nel mio cielo diventa cosi alto da oscurare la lucentezza della luna.
In questi giorni a Dublino sono molto rosa. Mi sento rosa, mi sento bella in questi giorni e questo mi succede ogni volta che mi sento libera. Mi chiedo se anche il cuore sente la sua libertà in questi momenti, anche se dentro la malinconia continua a scavare fino a che non arriva al fondo, se quel fondo si palesa. I vuoti dentro di me hanno forme varie e diverse, non sono semplici vuoti io credo, ma sono come il cratere di un vulcano solo in apparenza spento, come il Vesuvio se devo pensare a qualcosa a me caro. A quella sua sagoma cosi familiare, vista infinite volte viaggiando verso Napoli, quella curva cosi precisa nella mia mente, sempre lì, sempre pronta a ricordarti dove sei e chi sei.  Chissà che rapporto hanno i napoletani con il loro vulcano, non credo sia lo stesso rapporto di quello che i catanesi hanno con l’Etna, no non credo. Eppure anche in loro il fuoco brucia, ne sono sicura, l’ho visto, l’ho sentito, l’ho toccato con mano e mi sono anche scottata per dirla tutta, ma porto le cicatrici come si potrebbe indossare un abito che ci piace un sacco e che ci fa sentire più belli.
Stasera a Dublino fa freddo, ma è un freddo pulito, un freddo direi sincero. Dal finestrone della cucina dell’ostello, da dove scrivo, vedo le vetrate di una chiesa le cui campane suonano proprio di fronte la finestra della mia stanza, all’ultimo piano. Sulle grandi vetrate una scritta recita: GLORIOSAE MATRI ET DECORI CARMELI. E’ strano leggere una frase che traduco all’impronta e che invece probabilmente la maggioranza degli irlandesi che ci passano di fronte non ne capiscano il significato. Dovrebbero essere un po’ più umili questi irlandesi e cominciare ad imparare le lingue. Io mi sento fortunata ad essere nata in Italia e non cambierei la mia madrelingua con nessuna al mondo.
Stamattina sono uscita per la mia solita passeggiata.  Per andare nel mio solito negozio di dischi sono passata da Grafton street,  piena di luci di Natale e strapiena di gente. E’ una via pedonale piena di negozi, per lo più con capi di abbigliamento a dir poco pacchiani ed orribili e non capisco se le ragazze irlandesi pensano sia carnevale quando la sera scendono a bersi litri e litri di alcool. Ci sono cose decisamente più belle a Dublino che restano quasi vuote!
L’Irish Museum of Modern Art è un colpo al cuore. Quando ieri me lo sono trovata davanti dopo aver camminato più di un'ora a piedi per raggiungerlo mi sono sentita catapultata in un altro luogo, mancavano solo gli immensi prati davanti e il rumore musicale delle risate. Poi ho aperto la mia guida e ho letto che la costruzione di quest’edificio si ispirava all’Hotel des Invalides di Parigi, dalla cui vista James Butler, vicerè di Carlo III, rimase molto colpito durante un suo viaggio in Francia e una volta tornato in Irlanda ne commissionò a William Robinson una versione dublinese. A  volte vorrei non avere memoria.
Mi piacerebbe raccontare di tutte le persone che sto conoscendo qui. Di Juan che è cileno ma biondo come il sole ed ha un viso cosi pulito che a volte mi verrebbe voglia di abbracciarlo, di Arthur che è brasiliano e del Brasile ha quell’allegria pura e sincera, di Hector, di Pietro, di Carmine, di Daniel, dei pochi spagnoli simpatici che ho conosciuto, e di tutte le persone che ho incrociato. Ma sono quasi le otto di sera, la cucina si sta cominciando a riempire di gente ed è meglio che inizi a prepararmi qualcosa per non rimanere risucchiata dal vortice dei finti fornelli. E poi probabilmente tra poco arriva Juan, o Pietro, o Hector o Arthur e poi di sicuro si beve un bicchiere insieme.
Mi mancheranno. 

venerdì, novembre 11, 2011

Dublino

Non avevo nessuna idea di questa città prima di arrivare qui, se non qualche commento negativo da parte di dublinesi che ho conosciuto nei miei mesi a La Coruna. Eppure l’ho preferita a Londra perché mi metteva meno paura. Se avessi potuto scegliere sarei andata a New York ma non potevo ed allora la cara vecchia Europa mi accoglie nuovamente, lontana da casa. Mentre scrivo rifletto sul fatto che questo è il posto più a nord in cui sono stata, ma è decisamente molto più accogliente e limpido di città molto più meridionali ma molto più feroci, Milano sopra tutte. Oggi fa molto freddo, credo il primo giorno veramente freddo da quando sono arrivata, oramai più di una settimana anche se mi sembra molto di più. Nel cinema come sempre ho trovato il mio rifugio prediletto, fin da subito, il bellissimo Irish Film Institute è a meno di dieci minuti a piedi da dove vivo e questo mi dà un senso di libertà e di pienezza come solo la sala cinematografica sa darmi in alcuni momenti della mia vita e questo è uno di quei momenti. Non so come mi sento. Mi godo una ritrovata solitudine che dentro di me associo ad una ritrovata libertà, un sorta di affrancamento da me stessa verso me stessa. Ma lo stare sola fa cadere anche certe barriere ed allora tutta la malinconia del corpo e della mente mi investono e quando non riesco a controllarla mi riportano a chi mi manca e a chi vorrei stringere con le mie braccia, al mio viso, alle mie labbra, ai miei occhi, alle mie mani, alle mie gambe, al mio ventre, al mio cuore. Qui dal mio letto, da dove scrivo, dalla mia minuscola stanzetta, si sentono i gabbiani al mattino. Oggi
passeggiando ne ho visti a decine sul fiume, volteggiavano nell’aria, garrendo, felici probabilmente mentre un signore sul ponte gettava in aria cibo per loro. Mi hanno sempre affascinata queste persone che danno da mangiare agli animali, che siano gatti, cani, piccioni o gabbiani. Li trovo migliori degli altri, più liberi da un certo punto di vista.
Qui in ostello ho una camera minuscola, un lettino con una piccola finestra ed un lavandino. Sono al quarto piano e vedo i tetti delle case ed il cielo ogni mattina. Se chiudo gli occhi posso immaginare di essere a rua dos restauradores. Mi piace questo senso spartano nelle cose come nei sentimenti. L’essenzialità, guardare solo a ciò che è veramente importante, senza orpelli, senza appendici, senza convenevoli e convenzioni. L’essenziale è invisibile agli occhi diceva saggiamente la volpe.
Non ho fatto amicizia con nessuno negli spazi comuni e non credo i miei contatti sociali aumenteranno da qui a un mese. A volte mi spaventa questa mia doppia anima, cosi scura e
lucente insieme. Sono cosi poche le persone che trovo interessanti , ma so anche che intorno a me ce ne sono molte di più di quel che io pensi, però io credo nella naturalezza e nelle sensazioni e non conosco altre strade per arrivare nei luoghi segreti dell’anima.
Dublino mi sembra una città in cui varrebbe la pena di vivere per qualche tempo, conoscendo anime simili con cui dividere questo cielo spesso azzurro e sempre gonfio di pioggia. Ma poi tornare al sole, tornare al mare, tornare alla propria lingua e ai propri colori, credere ancora, crederci, stringere ciò che si ha di più caro e non dimenticarne mai l’importanza ed il valore.

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Salerno, Italy
Não sou nada. Nunca serei nada. Não posso querer ser nada. à parte isso, tenho em mim todos os sonhos do mundo/ Non sono niente. Non sarò mai niente. Non posso voler d'esser niente.a parte questo,ho in me tutti i sogni del mondo. [Fernando Pessoa]

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